martedì 11 aprile 2017

Appunti di Giappone

Ramen
Alla partenza per il Giappone avevo deciso che, anziché a Tokyo, avrei trascorso i primi 2 giorni in un posto più tranquillo (Kawaguchiko, alle pendici del monte Fuji), in modo da smaltire il fuso orario in un luogo meno frenetico.
Quindi arrivato in aeroporto mi reco ad una delle numerosissime stazioni della capitale nipponica, e prendo un autobus che prolunga ulteriormente la mia trasferta di un paio di ore.
Giuntoto in ostello, il tempo di una meritatissima doccia ed è già ora di cena; parte la domanda di rito verso il tipo della reception: “dove mi consigli di andare a mangiare”?
Risposta (molto apprezzata): in un posto tipico: un Ramen!
Mi fornisce di una piantina per arrivarci, e, dato che in questo locale non parlano inglese e il menù è solo in giapponese e senza foto, addirittura di un biglietto con scritto in giapponese quello che abbiamo stabilito dovrei ordinare (un paio di piatti).
Seguo fedelmente le indicazioni della mappa ed arrivo in una posto con un ingresso a vetrate trasparenti abbastanza anonimo, dove però da lontano noto un certo via-vai di gente che sale e scenda dal primo piano.
Quando giungo davanti all'ingresso non c'è nessuno; entro fiducioso, tolgo le scarpe (tipica tradizione orientale) e metto un paio di pantofole che prendo tra le decine sparse ai piedi delle scale. Salgo e seguo delle voci che mi portano in fondo al corridoio: apro la porta e... mi trovo di fronte ad una classica famiglia a tavola davanti alla TV, in quella che palesemente è la loro abitazione, e non un ristorante...
Quattro teste (ed 8 relativi occhi) distolgono la loro attenzione dalla televisione e dal piatto e la rivolgono verso il sottoscritto...
...“Ehm... Ramen?!?”
Mi fanno segno di no (nessuno di loro parla una parola di inglese) e con estrema pazienza a gesti mi spiegano come raggiungere il posto, incuranti del fatto che un estraneo (per di più straniero) si sia introdotto in casa loro, abbia preso un paio di loro ciabatte (anzi, forse hanno apprezzato il gesto...) e si stia aggirando per le loro stanze. Fosse successo in una villetta in Brianza, a quest'ora sarei sui giornali con un foro di proiettile nella schiena...
Chiedo umilmente scusa, ringrazio per le preziose indicazioni, e mi reco sulla retta(?) via.
Effettivamente dopo pochi minuti arrivo in un locale che riporta l'insegna “Ramen”. E vai...
Entro, faccio segno che sono da solo, mi indicano dove sedermi, e quando arriva la cameriera per l'ordinazione, tiro fuori trionfalmente il mio biglietto scritto in giapponese. La tipa lo guarda, a sua volta tira fuori un menù in inglese con tanto di foto, e mi fa capire che una delle 2 cose scritte sul mio pizzino non è nel menù. Scelgo una alternativa indicando una immagine che mi ispira, e mi domando come mai il tipo dell'ostello non fosse aggiornato sul fatto che:
  1. uno dei piatti da lui consigliati non è presente
  2. anche se non parlano inglese, qui hanno il menù con foto e didascalie in un alfabeto a me familiare
...poi capisco: quello NON è il Ramen, consigliatomi, ma un altro locale, decisamente più “turistico”.
Vebbè, sono stato capace di sbagliare ristorante in Italia, figuriamoci se non può capitare nel paese del sol levante! Fortunatamente, rispetto al precedente italiano, il conto non è stato altrettanto salato...


Tokyo1
In Giapponese guidano a sinistra. La cosa non è una novità per me: ho già viaggiato in paesi con questo “difetto”: Irlanda, Nuova Zelanda, Sudafrica...
Per la prima volta, però, mi trovo a camminare per un città estremamente popolosa e frenetica (Tokyo), dove anche i pedoni “tengono la sinistra” (sui marciapiedi, nei musei, sulle scale mobili, etc...), e, vista la muraglia di gente che si sposta a piedi, non è un particolare secondario...
In pratica mi sono trovato spesso a camminare contromano, (con la netta sensazione di venire preso di mira da piccoli kamikaze con gli occhi a mandorla, abilissimi nello scansarsi a vicenda, ma che facevano di tutto per venirmi addosso) prima di prendere l'abitudine di cambiare lato.
Tendenza che mi è venuta naturale quando ormai avevo abbandonando la capitale, ma che ho scoperto non essere così rigida in altri luoghi giapponesi. In pratica, ogni volta che cammino in un psto abbastanza popoloso, gli attacchi dei kamikaze continuano...
La storia della mia vita: l''uomo sbagliato, nel posto sbagliato, al momento sbagliato...


Ito
Ito è una cittadina che si trova sulla costa della penisola Izu, una zona ideale per una bella pedalata. Approfittando di una delle rare giornate di sole, decido di usare la bici: vado all'ufficio del turismo, chiedo dove posso noleggiane una, e mi indicano un negozio a due passi da lì, dicendomi che apre alle 9 (in questo momento sono le 9:02, quindi è sicuramente aperto, vista la puntualità maniacale dei nipponici). Mi reco lì davanti, e l'insegna (in italiano) promette bene: “Goloso”; a giudicare dai cartelloni, oltre ad affittare bici è anche una gelateria.
Peccato solo che sia chiuso.
Aspetto qualche minuto, e torno all'ufficio del turismo (è lì di fianco) chiedendo se per caso fosse il giorno di chiusura. La ragazza è imbarazzata, mi dice che il posto è sicuramente aperto, e (in maniera molto cauta) mi chiede se ho verificato bene che fosse effettivamente chiuso. Alla mia risposta affermativa, decide di accompagnarmi per controllare di persona. Cosa che avviene: la ragazza è sconvolta, torna in ufficio (io che divertito le trotterello dietro) e si attacca al telefono. Dopo qualche minuto si prostra in mille scuse, dicendomi che il negozio DOVEVA essere aperto, ed è inspiegabile che nemmeno telefonicamente riesca a contattare qualcuno. La tipa è costernata, non riesce a capacitarsi di una tale inefficienza.
Io la guardo sorridendo e flemmatico le dico: “sarà per questo che hanno un nome italiano...”


Tokyo2
Piove e fa freddo; è tutto il pomeriggio che cammino per Tokyo: sono bagnato fradicio, ho fame e voglio qualcosa di caldo!
Ad un certo punto, in una viettina pittoresca piena di bancarelle e negozietti nella zona di Ueno, vedo un assembramento di persone che fanno la fila per comprare delle bottigliette che emergono da un pentolone. Intuisco che si tratta di bottigliette di sakè caldo: figata !
Faccio la coda, compro la mia dose (300ml) ed il pusher mi fornisce anche di uno sgabellino sotto la tettoia dove posso comodamente assaporare questo nettare bollente: buono, caldo e... decisamente forte! Finita la dose, mi rialzo barcollante dallo sgabello: sono mezzo ubriaco!!! Devo assolutamente mangiare qualcosa.
Qualche bancherella più avanti, una vecchietta vende patate dolci (intere) alla griglia: figata2 !!
Avete mai mangiato una patata dolce alla griglia? È una delle cose più buone del mondo!!!
Malgrado sia ustionante, la divoro con immensa soddisfazione; e recuperata un po' di lucidità, decido che la mia dipendenza dal sakè è già finita, mentre quella dalla patata (soprattutto se bella calda e dolce) decisamente continua... 😉