lunedì 4 maggio 2009

Brasile

Questa prima parte dell’esplorazione della costa brasiliana è stata all’insegna della EFFE: non perché, come i più maliziosi staranno pensando, da buon italiano nello stato carioca mi sono fatto “distrarre” dalle bellezze locali (che, fra parentesi, tanto belle poi non sono); semplicemente perché  queste 3 settimane hanno avuto come terminali due luoghi che iniziano con la EFFE: Florianopolis e Fernando de Noronha.
Il viaggio inizialmente è stato come in tutto il resto del SudAmerica: tanti km da percorrere e tante ore in autobus sempre zaino in spalla: da Iguazu a Florianopolis (18h), poi da qui a Rio de Janeiro (20h). Ma un volta lasciata la città famosa in tutto il mondo per il Carnevale, ecco la svolta: ho abbandonato l’autobus (ho preso l’aereo fino a Natal, e qui ho noleggiato un’auto), pochi trasferimenti e comunque brevi, tante spiagge e tanto mare. Insomma, dopo quasi 3 mesi di vagabondaggio, avevo bisogno di un po’ di relax…
Sono stato in posti incantevoli come Praia do Pipa, Tibao do Sol, e soprattutto Fernando de Noronha, un’isoletta a 300 km da Natal che è un vero e proprio paradiso terrestre.

A Florianopolis ho rivisto (ci eravamo conosciuti in Uruguay) un ragazzo italiano (Maurizio) che da qualche mese vive lì, in un paesino dell’isola di Santa Caterina, e che non fa altro che surfare tutto il giorno… Mi ha detto che in Italia era stressato e che aveva bisogno di una parentesi, di staccare per un po’; gli ho chiesto che lavoro faceva nel nostro Paese, e mi ha risposto: “il maestro di snowboard”… ragazzi, mica qualcosa di massacrante come il minatore o il consulente SAP…

Ho conosciuto anche una meravigliosa coppia di vecchietti brasiliani, che celebravano i 40 anni di matrimonio girando per un mese (in auto) per la loro bellissima Nazione. Due persone piene di energia, entusiasmo e di vitalità. Il marito mi ha confessato il suo amore per l’Italia (che non ha mai visto) e soprattutto per un cantante (parole sue) “dei suoi tempi”: Sergio Endrigo. Secondo questo signore, Endrigo aveva avuto un successo incredibile in Brasile, prima che arrivassero i Beatles e lo spodestassero… capite? I Beatles hanno offuscato la carriera intercontinentale del nostro connazionale… mannaggia a ‘sti inglesi

Ma veniamo all’angolo della cultura, ovvero, come spesso capita in questo blog, parliamo di cibo: ottimo pesce, ottima carne (in particolare la picanha), ottime caipirinhas, eccellente frutta tropicale, in particolare l’açai: una piccola bacca viola-scura, altamente nutritiva, benefica e salutare, che da cibo di base tradizionale della popolazione indigena, è diventato bevanda di moda delle metropoli brasiliane. Vi rimando a questo sito per una descrizione più approfondita

Io, nella mia beata ignoranza, posso solo dirvi che è molto buono e molto fresco, e se vi capita l’occasione, di provarlo

martedì 14 aprile 2009

Però, questi francesi…

È dalla testata di Zidane a Materazzi che i francesi hanno iniziato a starmi simpatici; non perché abbia nulla contro Materazzi, ma perché quel gesto sconsiderato ci ha fatto vincere il Mondiale… vabbè, storia di quasi 3 anni fa.
Molto più recenti, ma sempre inerenti con la Francia, sono invece un paio di incontri che ho fatto in SudAmerica. In entrambi i casi si tratta di una coppia di transalpini, ragazzo e ragazza, di 25 anni. La prima coppia l’ho incontrata in Bolivia, durante il tour del Salares di Uyuni; la seconda in Uruguay, mentre facevano autostop, e li ho caricati in auto.

I primi erano entrambi laureati in ingegneria, lavoravano già da 2 anni quando hanno deciso che quel lavoro non faceva più per loro: si sono licenziati e sono partiti per il SudAmerica per stare in giro 10 mesi, di cui 3 lavorando in Perù con un impiego che avevano raccattato prima di lasciare la Francia. Questi ragazzi hanno mollato un lavoro “sicuro” (per quanto un lavoro possa definirsi sicuro di questo tempi…) con contratto a tempo indeterminato, per andare a fare una esperienza di vita che nessun impiego può darti. Se io fossi (cosa che non accadrà mai…) il responsabile delle risorse umane di qualche azienda, leggendo un CV terrei molto più in considerazione una esperienza di questo tipo, piuttosto che un qualsiasi Master. Quello che si impara ad un Master, lo si trova sui libri; viceversa viaggiare ti lascia un insegnamento che nessuno è in grado di fornirti, ma che anche in ambito lavorativo si può rivelare utilissimo, in termine di rapporti con le persone, gestione dei problemi, decisioni da prendere…
Spero tanto che i figli dei miei amici e i miei nipotini, in futuro sfruttino le opportunità per viaggiare già dalla scuola: andando a studiare all'estero un anno alle superiori, e approffitando del programma Erasmus all'Università. E' il modo migliore per imparare una lingua e soprattutto per crescere. E se poi appena finita l'Università riescono a fare un ulteriore anno di viaggio/lavoro tanto meglio (ad esempio in Nuova Zelanda fino ai 30 anni è possibile chiedere un visto particolare della durata di 12 mesi che consente di fare qualunque tipo di lavoretto: dal barista all'allevatore in fattoria, per un periodo che è totalmente a tua discrezione. Un paio di anni fa in NZ ho incontrato molti ragazzi che lavoravano qualche settimana in un posto, mettevano via qualche soldino, viaggiavano per qualche settimana e poi ricominciavano a lavorare. Fantastico!) 

I componenti della seconda coppia non so se fossero laureati, ma presumo di si; non so se già lavorassero (ma anche qui presumo di si); però so quanto stavano in giro: 2 anni (lo scrivo anche in cifre, come sugli assegni: due anni), appoggiandosi alla seguente organizzazione: WWOOF - World Wide Opportunities on Organic Farms (esiste anche il sito italiano http://www.wwoof.it/it/aboutit.html). A prescindere dalla tipologia di lavoro, una organizzazione di questo tipo offre la possibilità di viaggiare in tutto il mondo in modo economico ed allo stesso tempo di dare un aiuto dove è richiesto e dove se ne presenta la necessità.
La cosa più incredibile è che per arrivare in SudAmerica (e anche per tornare in Europa) non hanno preso aerei, ma mezzi terrestri e nave, cercando più possibile di fare autostop (è appunto così che gli ho conosciuti) e addirittura “navestop”, cioè dal Senegal si sono imbarcati come mozzi su una nave che li ha portati ai Caraibi, e da lì, sempre in “navestop” sono arrivati in Venezuela (tipo quello che racconta in uno dei suoi primi film un personaggio di Verdone : “mi imbarcai su di un cargo battente bandiera liberiana; cosa trasportasse, non l’ho mai saputo…”). Ci hanno messo 4 mesi per arrivare in Uruguay dalla Francia.

Io ho la fortuna, da 4 anni a questa parte, di fare qualche viaggetto ogni tanto. Il che significa andare all’aeroporto di Milano, prendere un aereo per tot ore (con la speranza di trovare vino decente e qualche buon film per allietare il volo) e, una volta arrivato a destinazione, iniziare a viaggiare.
Per questi ragazzi francesi l’avventura è iniziata appena sono usciti di casa.
Chapeau

domenica 5 aprile 2009

Uruguay

L’Uruguay non era contemplato nel mio viaggio; poi, grazie al consiglio di un paio di amici, al fatto che avevo tempo e che da Buenos Aires in meno di un’ora si arriva in territorio uruguagio, eccomi a raccontare di questo nuovo (per me) Paese.
Caratteristica principale degli uruguaiani è che sono i maggiori bevitori mondiali di mate, bevanda tipica sudamericana, la cui preparazione segue quella del tè: in un speciale contenitore si mettono in infusione in acqua bollente per qualche minuto le foglie del mate essiccate, tagliate e sminuzzate e si beve filtrando con una speciale cannuccia. Beh, almeno la metà di questa popolazione, senza distinzioni di sesso, età, classe sociale, va in giro (a piedi, a cavallo, in bici, in auto, in bus) tenendo sottomano il thermos con l’acqua calda e il contenitore per bere il mate. Vi giuro che ci sono più thermos per le strade uruguaiane che cellulari da noi…

Inizialmente avevo dedicato solo 2 giorni a questa Nazione, ma poi, attraversandolo in autobus ed ammirandone i tranquilli panorami (verdi colline a perdita d’occhio, tipo Irlanda), mi è venuta voglia di noleggiare un’auto e di guidare per una settimana per questi rilassanti paesaggi. Anche perché, a differenza di molti altri Paesi sudamericani, qui le distanze non sono proibitive; stiamo parlando di uno Stato che, con i suoi  176220 km2è poco più grande della metà dell’Italia.
Ho incominciato dall’entroterra, risalendo il confine con l’Argentina: pianure alternate a colline piene di pascoli e cavalli in libertà; tra l’altro questa zona è ricca di sorgenti termali: cosa c’è di meglio di un bagno termale al temine di una giornata al volante? Spostandosi, ma rimanendo sempre lontano dalla costa, si arriva in bellissime zone (sempre colline, pascoli, fattorie) dove la gente usa più il cavallo dell’auto, ma dove il turismo è qualcosa di sconosciuto: ho avuto seri problemi per trovare da dormire. Una volta ho dormito in auto.
Un’altra ero ormai rassegnato a dormire in macchina, quando appena fuori da un paesino, ho visto la scritta Motel. La speranza che si trattasse di una catena di Motel “familiari” (tipo Motel-6 o Motel-8 negli USA) si è subito infranta quando, entrando in auto, mi sono imbattuto in una colonnina per l’ordinazione (tipo drive-through di McDonalds) che riportava il tariffario: tipologia di camera (da basic a suite) e durata (1, 2, 3 ore o tutta la notte). Riporto quanto segue, ignorando (ammetto le mie colpe…) se anche in Italia i Motel funzionano nella stessa maniera: al telefono della colonnina ho dichiarato le mie scelte (basic e tutta la notte), mi hanno dato un numero di camera e le indicazioni per raggiungerla. Di fianco alla stanza c’era il posto auto coperto dotato di tenda per nascondere il veicolo da occhi indiscreti; dal parcheggio si entra direttamente in camera, dove si paga attraverso uno spioncino ad altezza ombelico dal quale è impossibile vedere ed essere visti. In teoria nessuno ha notato che ero da solo, quindi avendo pagato per tutta la notte, ho fatto bella figura…
La camera era dotata di bagno, lenzuola pulite, televisione (TV satellitare, ma niente canali porno: mi sa che dovevo prendere una suite…). Mi sono guardato Batman Begins sottotitolato in spagnolo, poi una partita NBA, e poi mi sono addormentato felice avendo come ninnananna in sottofondo i gemiti ed i sospiri che provenivano dalle stanze vicine.
La mia prima notte in Motel…

Dirigendomi poi verso la costa, il problema di trovare alberghi/ostelli è sparito: sul mare c’è una densità impressionante di hotel, fino ad arrivare a Punta del Este, probabilmente il luogo di villeggiatura più famoso di tutto il SudAmerica: è praticamente la MonteCarlo dell’America Latina. Devo dire che ero molto prevenuto su Punta, ed invece mi è piaciuta: spiagge notevoli, praticamente deserte (non è alta stagione, ma sicuramente a Pasqua sarà un carnaio) e, soprattutto di notte, è bella vera. Un connubio felice fra cemento e natura.
A parte il fatto che, come in tutto il Paese, si mangia da dio (sapete che il cibo è un mio pallino): la carne, visti gli abbondanti pascoli, è a livello di quella argentina, ed anche qui la griglia (parilla) la fa da padrona; però anche il pesce è eccellente (e detto da un carnivoro come il sottoscritto, è tutto dire…).
Ma soprattutto a Punta mi sono imbattuto nel gelato più buono del mondo: la gelateria El Faro fà un prodotto che dà dei punti a Grom. Mi sono concesso i seguenti gusti: cioccolato amaro con scorze d’arancia abbinato con dulce de leche. Divino!
Meglio di una notte al Motel…

domenica 29 marzo 2009

Dedica a Cusco…

È la terza volta che visito Cusco nel giro di 6 anni… non male per una cittadina così lontana dall’Italia; anche perché sono sempre stati soggiorni abbastanza lunghi: in totale ho trascorso una ventina di notti nella antica capitale Inca.
Come si spiega questa mia “assiduità”? Semplice, è un posto che mi piace molto, perché oltre ad essere bello (aggettivo stra-abusato qui in SudAmerica), è una città piena di storia, cosa abbastanza rara in questo continente.
Cusco è stata la capitale dell’impero Inca, dall’XI al XVI secolo, e conserva intatti sia la testimonianza di quel periodo, sia di quello successivo con la conquista spagnola, che, una volta tanto, dal punto di vista architettonico non ha portato sfaceli, ma anzi ha arricchito ulteriormente il patrimonio artistico.
E così, incastonata in uno scenario spettacolare (siamo a 3300 metri slm), questa cittadina sfoggia monasteri, chiese coloniali, conventi, rovine pre-colombiane in un insieme omogeneo che, soprattutto in centro, grazie ad un insieme di stradine non accessibili alle auto (a causa di gradini e gradoni di pietra) possono essere ammirati senza venire soffocati dal traffico.
Cusco è anche il punto di partenza per esplorare la Valle Sacra (Valle Sagrado) la valle attraversata dal rio Urubamba (dove è possibile fare rafting) costellata da antiche fortezze Inca, come Pisac, e da villaggi sede di coloratissimi mercati indio.
Ma è soprattutto il punto di partenza per andare a Machu Picchu, uno dei posti più famosi e visitati dell’intero SudAmerica: una città Inca quasi perfettamente conservata adagiata su una collina in uno scenario che sembra disegnato per quanto è bello. Affascinante e misteriosa sono gli aggettivi più indicati per descriverne la magia.
Ci sono 2 modi per raggiungere Machu Picchu: o direttamente con i mezzi; oppure facendo il Camino Inca, una camminata di 4 giorni e 3 notti nella foresta, che si rivela essere una incredibile escursione, grazie alla combinazione di rovine Inca, panorami, montagne e vegetazione esotica. Io 6 anni fa ho avuto la fortuna di fare questa esperienza, che però negli ultimi tempi è diventato praticamente impossibile improvvisare, perché a causa del rigido numero chiuso, è necessario prenotare con svariati mesi di anticipo, a fronte di un prezzo quasi proibitivo.
Ma torniamo a Cusco; oltre ad essere un gran bel posto, offre una vita notturna di tutto rispetto: è piena zeppa di localini con musica dal vivo (parlo di rock, soul, jazz… non di 3 sfigati che suonano il flauto andino…). Uno entra in un locale, dà una occhiata in giro, ascolta chi suona, e se gli piace resta, se no esce e va in un altro posto, senza problema; poi quando trova un locale che gli va a genio, si ferma e, senza nessuna pressione, ordina da bere. Io ho speso la stratosferica cifra di 4 euro totali, per due ottimi cocktail: un Cuba Libre e un Mojito.
Mi viene la tristezza se penso ai locali “IN” di Milano: selezione all’ingresso, liste, tavoli, bottiglie, PR, “one night”, consumazione obbligatoria… MAVAFFANCULO, VA’…

venerdì 20 marzo 2009

Cile... e inconvenienti di viaggio

Il Cile lo abbiamo attraversato a zig-zag, come il filo di un rammendo fatto male, entrando ed uscendo più volte dai Paesi confinanti: la prima volta in Patagonia, entrando a Punta Arenas; poi in centro, ad Osorno (entrambe le volte provenendo e tornando in Argentina); ed infine al nord, a San Pedro de Atacama (arrivando dalla Bolivia per poi dirigersi in Perù).
Ritengo il Cile il Paese meno “affascinante” di quelli visitati finora, ma questo non significa che sia un posto brutto (la medaglia di legno dietro Bolivia, Argentina e Perù è tutt’altro che disonorevole), anzi. I luoghi cileni che più mi hanno impressionato sono stati, in ordine cronologico:
Punta Arenas, perché significa Stretto di Magellano, e tutto il fascino e la storia che un luogo così estremo (soprattutto nel passato) rappresenta.
Torres del Paine, perché come ho già detto una cinquantina di giorni fa, è il Parco Nazionale più bello del Mondo, anche se funestato dal maltempo…
Valdivia, perché casualmente siamo arrivati quando c’era la mitica (per loro) noche valdiviana: ovvero la sfilata di carnevale fatta da imbarcazioni a tema. Fate conto che sarebbe come andare a Viareggio o a Venezia il giorno di carnevale.
Valparaiso, perché è affascinante: colline che si inseguono fino al mare, case diroccate appese a fatica a queste colline, atmosfera particolare, piena di “artisti” (o pseudo tali…)
San Pedro de Atacama, perché rappresenta il confine fra la “civiltà” Cilena  e la “eremita” Bolivia

In pratica il Cile ha fatto un po’ da rattoppo fra una Nazione e l’altra, dato che non abbiamo mai dormito più di due notti consecutive nello stesso posto (spesso una notte sola).
Quindi l’equazione è: Cile = Viaggio; e Viaggio = Bus.
Fortunatamente nello Stato con capitale Santiago non abbiamo avuto particolari problemi o inconvenienti di trasporto, a differenza degli altri Paesi…
In particolare sono state memorabili le seguenti tratte:

Argentina:
  • Buenos Aires à Rio Gallegos, perché è stato un viaggio infinito (40 ore), con un inconveniente meccanico che ci ha fatto fermare all’alba nel mezzo del nulla
Bolivia:
  • Villanzon à Tupiza, perché fatto con l’autobus più scassato del mondo sulla strada (sterrata) più scassata del mondo. 3 ore ½ per 80 Km, anche qui con un inconveniente miracolosamente risolto (?) dopo qualche martellata ben assestata; e la rottura del parabrezza che, se già di per sé non è il massimo della vita, figuratevi con una strada piena di polvere…
  • Uyuni à San Pedro de Atacama, fatto in jeep di notte (partenza con 2 ore di ritardo) su strade non illuminate, frequentatissime da camion; l’auto aveva un finestrino rotto (a 4000 m di notte… ) e ad un certo punto mi sono infilato nel sacco a pelo per non congelare. Ovviamente anche qui c’è stato un inconveniente meccanico, e quando sono sceso per fare un po’ di luce all’autista che era sdraiato sotto l’auto (al buio più completo), ho realizzato che le luci posteriori della jeep non funzionavano: l’ideale quando si viaggia su strada buie intasate da camion… Ma non è finita qui: era prevista una sosta per dormire: per miracolo arriviamo all’albergo (una sorta di rifugio) dove però veniamo brutalmente svegliati alle 4 del mattino per essere alle 8 al confine con il Cile (un passo a 4500m). E poi, causa neve, siamo passati in Cile solo dopo mezzogiorno…
Perù:
  • Arequipa à Cuzco, dove in realtà non abbiamo avuto problemi durante il viaggio, ma l’imbarco è stato a dir poco bizzarro: prima siamo stati filmati con la videocamera uno ad uno, poi ci hanno fatto mettere l’impronta digitale dell’indice destro su un foglio di carta dove era segnato il nostro nome. Ero convinto che quell’autobus fosse diretto ad Alcatraz…

sabato 14 marzo 2009

Elogio della Bolivia

La Bolivia è uno dei posti più belli del mondo! E’ difficoltoso viaggiare qui perché molte delle strade non sono asfaltate, gli alloggi sono di fortuna, a volte senza elettricità e con toilette improvvisate… ma si viene ampiamente ripagati dalla bellezza di questi luoghi.
C’è una varietà incredibile: sembra quasi che il padreterno si sia divertito a concentrare in queste zone un insieme di meraviglie sparse a casaccio da altre parti del pianeta:
Vulcani come in Guatemala; Gayser come nel parco dello Yellowstone (USA); Pozze di acqua termale come in Nuova Zelanda; Deserti di pietra come in Marocco; Lagune abitate da fenicotteri come in Camargue (Francia); e poi il Salares di Uyuni… che non ha eguali: il lago salato più grande del mondo (10500 km2, poco piu' grande della Calabria) che, anche grazie all’altitudine (3600 metri slm) offre un panorama indescrivibile, in particolare all’alba.
E anche i boliviani si rivelano all’altezza della bellezza dei luoghi che abitano: non dal punto di vista estetico, dato che sono fra le persone più brutte del mondo… ma, giudizio estetico a parte, sono persone meravigliose: solari, semplici, onesti. E soprattutto dotati di una grandissima dignità: sono poveri, ma non lo fanno pesare, né al turista né a loro stessi; hanno pochissimo, ma se lo fanno bastare e se lo sanno godere… una grandissima lezione di vita.

Io e Andrea abbiamo fatto un tour in jeep partendo da Tupiza (altitudine 3000m) per arrivare dopo 4 giorni ad Uyuni (3600m); la prima notte l’abbiamo passata in un paesino di 4 anime a 4200 metri sul livello del mare. E cosa puoi trovare in un simile posto? Ovviamente 2 campi da pallacanestro, con 3 bambine tra i 5 agli 8 anni che ci invitano a giocare. E’ vivamente consigliano evitare sforzi appena arrivati in altura… quindi noi, che siamo incoscienti, abbiamo accettato l’invito, e con altri turisti/viaggiatori abbiamo improvvisato un 4 contro 4 divertentissimo con le ragazzine del luogo. Ogni tanto il campo veniva attraversato in bici da un bambinetto di non più di 3 anni spinto da un coetaneo che indossava un improbabile cappello da esploratore. Ogni volta che il ciclista passava, io gli urlavo: ”vai Pantaniii!!!”, e lui mi ricambiava con un sorriso che mi apriva il cuore. Purtroppo non avevo la macchina fotografica con me, ma vi assicuro che la coppia di bimbi era meravigliosa.
Prima ho scritto che i boliviani sono fra le persone più brutte del mondo, ma questo vale solo per gli adulti; i bambini sono bellissimi: pelle olivastra, capelli e occhi nerissimi, lineamenti leggermente orientali; è incredibile come peggiorino crescendo.
Il tour è proseguito con un po’ di inconvenienti inevitabili su queste strade (ruota forata, ammortizzatore rotto, radiatore bucato…), ma la nostra guida, Freddy, si è rivelato oltre che un abile pilota di fuori strada, anche un eccellente meccanico. Era bellissimo guardare il rapporto che aveva con la sua jeep, una vecchia Toyota Land Cruiser del 1986 (preferisco non pensare quanti km ha fatto quell’auto…): la coccolava, la accarezzava, la trattava con affetto; alla sera le metteva la coperta per non farle prendere freddo (ed infatti la volta che se ne è dimenticato, l’auto, la mattina dopo, non voleva partire – probabilmente per ripicca…)
Freddy è il tipico boliviano che ho descritto sopra, quindi una gran brava persona, e mi ha fatto molto piacere chiacchierare con lui. Quando gli ho detto che era una guida eccellente e che si vedeva che gli piaceva il suo lavoro, mi ha risposto che il lavoro “me encanta”.
Che invidia… facessi io un lavoro che “mi incanta”, non avrei bisogno di prendermi queste pause così lunghe… vabbè, la pianto qui sennò mi tiro addosso troppi “vaffa” più che giustificati. Però l’invidia rimane: fare un lavoro che ti piace è fondamentale! Che bello: essere pagati per qualcosa che faresti anche gratis.
Ma torniamo alla Bolivia: un’altra cosa particolare è che, pur essendoci luoghi tanto belli, non esiste il turismo di massa; non esistono villaggi turistici o alberghi a 5 stelle. Probabilmente anche per una questione logistica (difficoltà di spostamenti, altitudine…), però Freddy ci ha raccontato che qualche anno fa era stato costruito un albergo di lusso nel Salares, ma che poi è stato distrutto perché l’impatto ambientale era elevato….
Ragazzi, quante cose abbiamo da imparare da questo Stato del cosiddetto terzo mondo…

lunedì 9 marzo 2009

L’importanza di conoscere le piante…

Siamo a Humauaca, nord dell’Argentina, nell’altopiano andino in comune con la Bolivia. Qui la percentuale della popolazione con origine italiana crolla a 0 (la media nazionale è di oltre il 40%). Gustavo fa la guida turistica, e ci accompagna a vedere le meraviglie dell’Hornocal, una incredibile montagna multicolore. Gustavo non è un indio, infatti è di Bahia Blanca (400 km a sud di Buenos Aires, sull’oceano), ma definisce la città dove è cresciuto un posto feo (brutto). Dopo aver viaggiato a lungo per l’Argentina, si è innamorato di questo posto (non propriamente sul mare, dato che siamo a 3000m di altezza) dove si è stabilito e ha messo su famiglia. Gli chiedo se non gli manca il mare, mi dice di no, e che in ogni caso ci va in vacanza al mare; gli domando dove, mi risponde “a Bahia Blanca”… il posto feo
Rapporto con il mare a parte, Gustavo si rivela una guida perfetta: è un ottimo conoscitore della montagna, ma la sua passione spazia anche in altri settori, a partire dall’archeologia (ci parla del ritrovamento di una mummia che risulta essere l’uomo più antico del continente americano), fino alla storia; ci racconta della cultura pre-inca che abitava questi luoghi (la popolazione Yavi), dedita alla agricoltura. Gli Yavi avevano creato un sistema di canali per l’irrigazione dei campi che è stato in seguito migliorato dagli Inca (nel 15 secolo) e che viene sostanzialmente utilizzato ancora adesso.
Ci indica un paesino (chiamiamolo così) di contadini composto da ben 5 famiglie che per il loro raccolto sfruttano l’opera ingegneristica di svariati secoli fa.
Ma il pezzo forte del tour ovviamente è la vista dell’Hornocal e delle sue bellissime sfumature.
La nostra guida ci racconta che una volta ha accompagnato una coppia un po’ particolare ad ammirare questa meraviglia della Natura: il marito era cieco da 10 anni, e la moglie gli descriveva i colori in maniera minuziosa, utilizzando (parole di Gustavo) “un vocabolario incredibilmente ricco”. Mi domando come abbia fatto quella signora a raccontare così bene un qualcosa che lascia senza parole…
Quando arriviamo ad un altro punto panoramico, Gustavo ci indica in lontananza un altro paesino, dicendo che è composto da 129 persone. Mi scappa la battuta: “probabilmente anche in questo paesino i 129 abitanti appartengono in tutto a 5 famiglie, data la prolificità dei sudamericani…”
E lui, ridendo, ci dice: “e sì, hanno molta muña muña…”

E qui si apre un altro capitolo di questa bella escursione. Io pensavo che muña muña fosse un termine colorito per descrivere una interessante parte anatomica del corpo femminile; in realtà si tratta di una pianta. Infatti la nostra guida si rivela essere anche  un ottimo botanico ed erborista.
Ma andiamo per gradi… sulla via del ritorno, Gustavo ferma la jeep ogni tanto per farci vedere determinati fiori o piante, e descrivercene le caratteristiche e gli effetti che questi possono avere sull’uomo o sugli animali.
Si inizia con un fiore lilla, che non è provato abbia degli effetti sull’essere umano, ma che se mangiato dagli animali provoca danni temporali al sistema nervoso facendoli impazzire per qualche giorno. Ci racconta di una escursione con un paio di turisti a dorso di asino: le bestiole hanno la bella idea di assaggiare i fiori incriminati, e di conseguenza impazziscono e diventano ingestibili. Dato che la malattia non è permanente, per accelerare la guarigione degli animali, gli escursionisti hanno passato la notte a purgare gli asini…
Tirar fuori merda da un asino… non deve essere esattamente il lavoro più bello del mondo (anche se qualche attinenza con la consulenza SAP ce l’ha…)

Ma torniamo alla muña muña: ci viene descritta come il “viagra andino”, che gia' di per se' e' un'ottima presentazione, ma come se non bastasse, è anche un ottimo digestivo… Gustavo ne porge un ramoscello a me ed uno ad Andrea; la scena è abbastanza imbarazzante: due uomini che si guardano con in mano una pianticella di “viagra andino”… potrebbe essere un poster dell’arcigay…

Ci vengono descritte altre piante, tra le quali:
Sumalagua, un fiore giallo che è un eccellente afrodisiaco
Arca, una pianticella verde che è ottima in caso di diarrea

Dato che le prossime tappe del viaggio saranno in Bolivia ed in Perù, ho paura che faremo un gran uso di arca, mentre le altre due pianticelle marciranno nello zaino… e soprattutto spero che, in caso di attacco di diarrea, né io né Andrea ci equivocheremo nel prendere la pianta giusta… le conseguenze sarebbero veramente trash…

martedì 3 marzo 2009

Viaggio alla ricerca di…

Ok, dopo un mese di viaggio, è il momento di parlare della vera missione di questa avventura… perché si dice sempre che il viaggio è una metafora della vita, che in realtà viaggiamo alla ricerca di noi stessi… etc … etc… per dirla con Mina: parole, parole, parole.
Qual è il mio vero obiettivo quando viaggio? Scommetto che qualcuno lo sa già, ma preferisco essere chiaro, mettere tutto nero su bianco: oggi si parla di… fi…
…datevi che adesso ne parliamo… parliamo di… fi…
…guratevi se non ne parlavo, prima o poi, nel blog… è il momento di parlare di … fi…
…nalmente si parla di cibo!!!
È questa la vera missione che perseguo quando viaggio: il CIBO!!!
È un fatto culturale: dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei… vabbè, diciamoci la verità: più che un fatto culturale, è un fatto “de panza”: “mens sana in corpore sano” recitavano gli antichi… ma “corpore sano cum panza piena est” aggiungo io… saggezza da routard!
Dato che questo è il mio blog, mi permetto un breve approfondimento su me stesso, e sul rapporto che ho con il cibo, soprattutto quando viaggio: partiamo da alcuni flash del passato (Parigi, NY e Firenze), per poi arrivare al presente (Argentina)

1) Parigi,  maggio 1997 (o giù di lì…)
Dopo una serata balorda, sono in camera con Dario, che gentilmente mi ospita nella capitale francese per un paio di giorni (il balordo è finito a lavorare a Parigi per evitare il servizio militare in Italia… ottima scelta!). Esausti, stiamo chiacchierando prima di crollare nel sonno più profondo, quando Darietto mi fa:
“Sandro! Seriamente: secondo te qual è la cosa più bella al mondo?”
“che cazzo di domanda… però, seriamente… secondo me MANGIARE!”
E lui, abbracciando il cuscino con un ghigno beato: “No!.... DORMIRE!!!”
Il fatto è che io ero terribilmente serio. Il problema è che anche lui lo era…

2) New York, novembre 1999
Arrivo a NY il weekend della Maratona (ovviamente a mia insaputa…). Non avendo prenotato nessun alloggio, non trovo nessum posto per andare a dormire ad un prezzo umano, quindi faccio il vagabondo per la Grande Mela e passo la prima notte in bianco. La mattina seguente trovo posto in un ostello di fronte a Central Park, dove spendo 15 dollari a notte (ne faccio due). Totale spesa per dormire 3 notti a NY: 30 dollari.
Perché racconto tutto ciò? Semplice, perché a mezzogiorno del secondo giorno vado a pranzo al Blu Oyster Bar della Grand Central Station, posto rinomatissimo per il pesce, e ordino una insalatina di crostacei per la modica cifra di 35 dollari (più di 70000 lire dell’epoca…).
Sono quindi riuscito a spendere più per una insalata che per dormire 3 notti a NY…

3) Firenze, giugno 2007
Sono in giro per la toscana in bici per alcuni giorni, armato di borse, tenda, sacco a pelo, e soprattutto navigatore satellitare TomTom. Il TomTom non mi serve tanto per le strade, quanto perché fra i punti di interesse ho scaricato da internet le osterie consigliate dalla SlowFood.
Per chi non lo sapesse (pochi, mi auguro), questa associazione seleziona osterie con una filosofia che si può riassumere così: in antitesi al fast food, SlowFood ricerca luoghi dove si mangia bene, con calma e in un ambiente confortevole.
Ma torniamo a noi, anzi a me e alla mia bici in Toscana. La giornata tipo: tutto il giorno in bici pedalando nei paesaggi meravigliosi del Chianti e delle Crete Senesi; poi una volta trovato un posto per dormire, scatta la ricerca (tramite TomTom) di una osteria in zona. Non c’è niente di meglio di un’ottima cena (vedi punto1), soprattutto dopo un giorno intero in bici.
Ultimo giorno, da Siena a Firenze (da dove nel pomeriggio prenderò il treno per tornare nella grigia Milano). Parto alla mattina, e arrivo nella capitale toscana giusto per pranzo, attivo il TomTom e… eccola: Cibreo
Immaginatevi in che condizioni entro nel locale: reduce da 70km di bici sotto il sole, vestito come un deficiente (pantaloni da ciclista, maglietta di cotone, bandana rubata al mercato) entro affamato in questo posto, e solo dopo essermi seduto realizzo che non è propriamente un’osteria “alla buona”, ma in realtà un ristorante di lusso: tovaglia di lino, posate d’argento, una sfilza infinita di bicchieri… imbarazzato, ma fiducioso nella “bibbia” SlowFood, evito di scappare e mi faccio portare il menù, che però consiste in un foglio scritto a mano che recita, più o meno: “il nostro maitre sarà felice di suggerirLe di persona le pietanze del giorno”. Vabbè… arriva al mio tavolo una tipa bruttissima, si siede (giuro!) ed inizia a farmi una supercazzola infarcita di termini francesi. Ovviamente io non mi accontento di un piatto di pasta (come logica e portafoglio consiglierebbero), ma accetto la sfida, e ci do dentro. Ad un certo punto, mentre sto mangiando, la maitre si presenta al mio tavolo con in mano uno sfilatino di pane lungo mezzo metro, ed orgogliosamente mi fa: ”gradisce un osso di mammuth? E’ pane di patata fatto artigianalmente nel nostro forno, e che noi abbiamo battezzato in questo modo così originale…”
Risposta: “vorrebbe avere la compiacenza di infilarselo su per lo sfintere anale?” (in realtà questa frase è rimasta nella mia testolina, mentre accennavo un delicato “no, grazie” condito da un sorrisino beffardo).
Conto: 82 euro… non male per il pranzo di uno che si muove in bici dormendo in campeggio.
Esco maledicendo internet ed il sito da cui avevo scaricato le osterie per il TomTom; salgo in bici, giro l’angolo e trovo l’Osteria del Cibreo: io avevo pranzato al ristorante, che ha in comune con l’osteria la cucina, ma si differenzia per il servizio (e soprattutto per il prezzo…. vaff…)

Dopo queste 3 perle, eccoci ad oggi, all’Argentina.
C’è una formula matematica, anzi un postulato, un assioma che recita ARGENTINA = CARNE PIU’ BUONA DEL MONDO.
E’ vero, ed il motivo è semplicissimo: questa nazione è un immenso pascolo, dove le bestie vivono in libertà, mangiando in modo naturale. È bello passare per le Pampas in autobus, guardare dal finestrino una mucca che bruca beatamente in un campo sterminato, farle “ciao ciao” con la manina e pensare “ci rivediamo presto, a tavola…”
Molti ristoranti (ma fortunatamente alche qualche ostello) ostentano con orgoglio all’ingresso, ben visibile dall’esterno, la griglia (parrilla), spesso di dimensioni mastodontiche (per carita', nessuna parentela con l’osso di mammuth…).
Carne, si diceva… ed in particolare la regina dei tagli: el bife de lomo (filetto). Qui ho iniziato ad apprezzare la carne al sangue, scottata all’esterno in modo da formare una leggera crosticina, ma tendente al crudo all’interno.
Personalmente penso che, a tavola, non ci sia niente di più semplice e buono al mondo. E se poi si riesce ad accompagnare il tutto con un ottimo Malbec di Mendoza (zona rinomata per il vino), il Paradiso è molto vicino…
Certo, dal punto di vista culinario è possibile avvicinare le porte del Paradiso in molte parti del mondo, in particolare in Italia: si potrebbe parlare di Fiorentina piuttosto che di Amarone… ma non è la stessa cosa: il Bife de Lomo in Argentina è qualcosa di indescrivibile: non è solo una questione di sapore, è tutto l’insieme che fa di questo pezzo di carne la cosa più tenera, gustosa, profumata che esista.
È come la fi… gurarsi se non lo avete capito…

domenica 22 febbraio 2009

Patagonia, vita da Frontiera…

El Calafate e Bariloche rappresentano le estremità meridionale e settentrionale della regione, dando accesso a meraviglie come lo spettacolare ghiacciaio Perito Moreno o montagne come il Fitz Roy la prima, e incantevoli scenari alpini costellati da boschi e laghi la seconda. Ma più che sulla bellezza della Natura del posto, per la quale cedo la “parola” alle immagini (foto Patagonia), vorrei soffermarmi sulla collocazione geografica delle due città, ovvero a ridosso del confine con il Cile.
Attraversare questa frontiera spesso richiede almeno un’ora per balzelli burocratici e controllo dei bagagli, che si rivelano più snelli dal Cile all’Argentina, e più complicati in senso inverso. Infatti in questa direzione, per ragioni sanitarie, non è consentito importare frutta o carne, ed a causa  di questa disposizione il controllo diventa lentissimo. Controllo che comunque varia da un posto di frontiera all’altro, con risultati spesso grotteschi.

La prima volta che siamo entrati in Cile abbiamo dovuto scaricare personalmente dal bus tutti i nostri bagagli e portarli in una piccola stanza (in grado di contenere 25 persone, quando noi eravamo il doppio e carichi di borsoni) dove regnava l’anarchia. Qui, senza alcuna indicazione, sgomitando in mezzo a turisti e persone del posto che a loro volta non sapevano assolutamente cosa fare, abbiamo dovuto prima farci timbrare il passaporto, poi portare gli zaini verso un macchinario a raggi x tipo controllo bagagli dell’aeroporto, e successivamente riportare il bagaglio sul bus. Per poi alla fine realizzare che anche senza tutto quello sbattimento (tira giù lo zaino dal bus, portalo nella stanzetta, portalo al macchinario raggi x, riportalo sul bus muovendoti in un ambiente tipo Metrò di Milano nell’ora di punta), non sarebbe cambiato nulla, dato che in realtà nessuno ha poi verificato che tutti i bagagli siano stati sottoposti a verifica. Però intanto così passa il tempo. Anche questo è SudAmerica…

La seconda volta che siamo entrati in Cile, mi aspettavo la stessa situazione… invece il conducente del bus ci ha radunato in uno stanzone, ha fatto l’appello, ci ha messo in fila in ordine alfabetico (momento meraviglioso: l’autista, ispirato da non si sa quale autorità, si travestiva da maestro della elementari: urlava un nome, e la persona che rispondeva veniva presa di peso, messa in una determinata posizione della fila e guai se si spostava…). Si è formato così un serpentone di gente di varie età, nazionalità, professione, ma assolutamente in ordine alfabetico. Una volta creata la fila, si è proceduto al timbro sul passaporto, mentre all’esterno un energumeno provvedeva a scaricare i bagagli, a farli passare dai raggi x, e a caricarli nuovamente sul bus (per poi passare fra i sedili ad elemosinare la mancia…).
Tempo totale dell’operazione? Ovviamente identico (ossia infinito…) a quello della prima dogana dove regnava l’anarchia. Anche questo è SudAmerica…

Burocrazia di frontiera a parte, questi viaggi in bus sono sempre divertenti: primo, perché spesso attraversi dei paesaggi bellissimi; secondo perché è il momento in cui hai più tempo per leggere, ascoltare musica, iniziare a pensare a mettere giù queste righe, eventualmente (raramente) pianificare la prossima tappa; terzo, perché è una delle occasioni (l’altra sono gli ostelli) per conoscere altri viaggiatori. Dato che al momento non sto viaggiando da solo, sono meno propenso del solito ad attaccare bottone con gli altri (di solito, girando da solo, parlare con qualcuno diventa una necessità); però anche in questa occasione ho potuto frequentare altri routard, entrando in contatto con il magico mondo dei viaggiatori zaino in spalla. Gente di tutto il mondo (Australia, Francia, Irlanda, USA, Argentina, Olanda, Cile, Inghilterra… ) di tutte le età (anche se, ahimè, tendenzialmente più giovani del sottoscritto) e con le più svariate tipologie di destinazione e durata (da un posto fisso per le vacanze estiva – periodo che si sta concludendo proprio ora in SudAmerica – ad una delle “n” tappe di un giro del mondo che durerà 8 mesi).
Uno dei personaggi più interessanti è stato senza dubbio sull’autobus che da Villa La Angostura ci ha portato ad Osorno, e prontamente ribattezzato “Kill Bill” da Andrea: sudamericano, età di difficile interpretazione (secondo me 50 abbondanti portati molto bene), capelli lunghi canuti raccolti in una coda di cavallo, pantalone rosso e gilet verde… la somiglianza con il protagonista del film di Tarantino era notevole, ma a differenza del personaggio cinematografico, il nostro eroe non era armato di spada, bensì di chitarra.
Strumento che ha tirato fuori una volta passata la frontiera, e con il quale, accompagnandosi anche con una armonica a bocca, ci ha allietato per un’oretta durante il viaggio, cantando e suonando classici (ad esempio Beatles) e canzoni locali a noi sconosciute, ma assai gradite. Dopo aver ricevuto gli applausi ed i complimenti convinti di tutti i passeggeri, il Nostro (che prendendo spunto da Andrea io ribattezzo “Play Bill”) ha ringraziato, ha messo via gli strumenti ed è tornato nell’anonimato di prima.
Chi lo sa se è un’artista giramondo che vive suonando per le strade, libero come un albatros che con un colpo d’ali prende la corrente giusta… oppure è un impiegato di banca che sta finendo le ferie… non gliel'ho chiesto, e tutto sommato non è importante saperlo.
In ogni caso, caro “Play Bill”, mi hai fatto passare dei bei momenti, e di questo ti ringrazio...

sabato 14 febbraio 2009

Magia… bagnata

“Io qui ci torno…”
Così finiva una mail del marzo 2005, dopo che ero stato, solo per una notte, al Parco Torres del Paine.
E, a distanza di 4 anni, ho mantenuto la promessa. Non vedevo l’ora di tornare qui: è un luogo semplicemente magico… di tutti i posti che ho visto finora (e fortunatamente ne ho visti tanti), solo il Grand Canyon negli USA è riuscito ad emozionarmi con la stessa intensità.
Però, come sempre, esiste il rovescio della medaglia: il tempo, inteso non come durata ma come situazione meteorologica. 4 anni fa ero rimasto folgorato da questo Parco dopo averne visto solo una piccola parte ma in una splendida giornata di sole.

11/02
Sole che al momento fa fatica a fare capolino: è pur sempre bellissimo camminare per questi sentieri quasi incontaminati, ma il fotografo che è in me è particolarmente represso per non poter immortalare le splendide cime (costantemente coperte da nubi) che avevo ammirato nel 2005.
Speriamo che nei prossimi giorni migliori, anche se in questo momento sta piovendo modello Diluvio Universale…
Durante la notte scenetta divertente: io e Andrea siamo in camera con un coppia di simpatici  inglesi di una certa età (intorno ai 60). Due letti a castello, con i britannici nei letti bassi, noi in quelli alti, io sopra quello della signora.  Andrea è raffreddato dall’inizio del viaggio, ed il naso intasato lo porta a russare in maniera indecente, per la gioia del sottoscritto…
Quando Andrea ha iniziato il solito concerto, la signora si è svegliata di soprassalto, e temendo che la causa di tale frastuono fosse il marito, ha cercato di svegliarlo bisbigliando: “Charles, … Charles, …Charles!”; e lui, con accento e tono aristocratico degno del Principe di Galles: “…it’s NOT me…”
A proposito, allego il blog dove Andrea sta raccontando le varie tappe: ve lo consiglio, perché io preferisco pubblicare foto nella speranza che siano loro a parlare per me; mentre lui sta facendo un vero e proprio diario, scritto molto bene ed in maniera divertente e divertita.

12/02
siamo partiti sono l’acquazzone, e il clima non dava segni di miglioramento… ero veramente deprezzato, (unione di depresso+incazzato), anche se camminare a lungo sotto l’acqua (in ogni caso ben coperti: sembravamo 2 palombari) alla fine ha un che di terapeutico. Mi sono venuti in mente  quelli che intraprendono camminate mistiche, tipo il Cammino di Santiago de Compostela; persone che sono in attesa dell’illuminazione, dell’apparizione della Madonna. Io durante tutti quei km sotto l’acqua la Madonna non la vedevo, ma l’ho evocata più volte, e non in termini propriamente cristiani, a dispetto del mio cognome…
Poi, invece, malgrado i miei improperi, ecco il miracolo: smette di piovere ed appare il sole. Erano 4 anni che aspettavo questo momento! Il sereno è durato solo poche ore, ma se non altro è servito per “rasserenare” il mio stato d’animo, e a farmi sentire felice come un bambino con in mano il suo gelato preferito. Le cime sono rimaste avvolte nelle nubi, e quindi non ho potuto ammirare nuovamente lo splendido panorama che mi aveva quasi sconvolto anni fa. Ma chi si accontenta gode…

13/02: nuovamente nubi sul nostro cammino; torniamo verso l’entrata del parco, da dove prenderemo il bus per tornate a Puerto Natales; se rasserena ho intenzione di rimanere qui fino a sera, altrimenti rientro nel primo pomeriggio.
Il tempo è migliorato, e ne ho approfittato per farmi l’ultima camminata e scattare finalmente qualche foto a queste meravigliose cime

martedì 10 febbraio 2009

La sagra dell’imprevisto…

1 – Malpensa, 3 febbraio
Volo per Londra cancellato (causa bufera di neve sulla capitale inglese). Veniamo dirottati su Air France con scalo a Parigi. Poco male, peccato solo per l’ottimo vino servito a bordo dalla British, che avevo avuto modo di apprezzare sul volo per Sydney l’anno scorso

2 – La Boca, Buenos Aires, 4 febbraio
Dobbiamo prendere il bus 64 per tornate all’ostello in centro,ma non abbiamo moneta (il biglietto costa 1,20 pesos), solo banconote da 2. L’autista dice che senza moneta non si può viaggiare (esiste una specie di slot-machine a bordo: inserisci la monetina e vinci il biglietto…), e che non ha da cambiare. Proviamo in vari chioschi, pub, ristoranti, edicole, ma niente, nessuno sembra avere moneta. Nel frattempo piove...
Ci consigliano di andare direttamente al terminal degli autobus, a 400 metri, dove è possibile comprare il tagliando direttamente in biglietteria. Ma dopo 250 metri veniamo fermati dalla Polizia, che ci consiglia caldamente di non proseguire, in quanto zona pericolosa da lì in avanti. Andiamo bene…
Torniamo indietro, e un venditore ambulante (anche lui ovviamente sprovvisto di monete) ci consiglia di andare al terminal. Gli spieghiamo che ci è stato detto che è pericoloso, e lui candidamente: “tranquilli, c’è la Polizia”. E noi: “è la polizia che ci ha detto che è pericoloso…”
Alla fine il lampo di genio: non è vero che nessuno ha moneta, è che nessuno CAMBIA moneta. Compro una barretta ad un chiosco, e, come RESTO, ottengo il necessario per il bus…

3 – Tratta Buenos Aires – Rio Gallegos in bus (2900 km), 6,7,8 febbraio
Premessa: compriamo i biglietti per questa lunga traversata (durata prevista 36 ore) la sera prima del giorno del viaggio. Erano rimasti gli ultimi 2 posti sul bus della Andesmar della mattina successiva: lo interpreto come un segno del destino.
Infatti…
Appena comprati i biglietti, un ragazzo argentino in ostello si mette a chiacchierare con me, e quando scopre che siamo diretti a Rio Gallegos, mi chiede:
“IN BUS?”
“si”
“MALE! CON QUALE COMPAGNIA?”
“andesmar”
“MOLTO MALE!! CAMA O SEMICAMA? (il tipo di servizio/sedile)”
“semicama”
“MALISSIMO!!!”
Il simpaticone ci racconta che il bus partirà sicuramente in ritardo, che continuerà ad accumulare ritardo, e di quanto sia pessimo il servizio a bordo. E che sarebbe stato molto meglio andare in aereo.
In realtà io voglio andare in bus proprio per attraversare la Pampas e la Patagonia occidentale, esperienza che ancora mi manca.
Morale… il bus parte con quasi un’ora di ritardo, la vita a bordo non è malaccio, ma nottetempo si ferma in mezzo al nulla, e lì rimane per svariate ore per una avaria.
Il bello è che questa lunga sosta forzata non intacca neanche un po’ la tranquillità dei passeggeri (tutti argentini, tranne io e Andrea), come se rimanere fermi in mezzo al nulla per ore e ore sia la cosa più normale del mondo. E forse lo è.
Io, che oramai ho assorbito lo spirito fatalista sudamericano, mi dedico a fare foto, a leggere e a scrivere queste righe, quasi contento di questo ulteriore ritardo che mi da modo di apprezzare ulteriormente la vastità e la magia di questi luoghi, dove il nulla insegue se stesso fino a perdita d’occhio…
Arriviamo a fatica all’”ospedale” del bus, dove un meccanico (capellino da baseball e coda di cavallo tipo Fiorello al Karaoke) si prende amorevolmente cura del paziente, facendosi passare dai suoi assistenti (sembra una puntata di ER) pinza, cacciavite, cassetta arancione… Con questi attrezzi il Fiorello della Pampa inizia a martellare il mezzo, ed io mi domando se questo bus sarà mai in grado di percorrere i circa 1300 km che ci mancano. Ma sono sicuro di si.
Il punto è in quanto tempo. Ma, in effetti, questo non è un problema. Il tempo non dovrebbe mai essere un problema.
So che in Africa esistono autobus dove, se chiedi a che ora parte, ti senti rispondere: “quando è pieno…”; il che può significare ore o addirittura giorni.
Qui in Argentina sono dei dilettanti al confronto.
Alla fine ce la abbiamo fatta in “solo” 44 ore.
Ed il viaggio prosegue…