giovedì 4 maggio 2017

Appunti di Giappone - 2


Derby in Giappone
Sabato 15 aprile si è disputato il derby Inter-Milan ad un'ora inusuale (12:30), per catturare l'enorme potenziale audience del mercato asiatico. Il mio sanguinante cuore rossonero mi implora di vedere la partita in diretta, approfittando anche del comodo orario (ore 19:30 locali), e su suggerimento del tipo dell'ostello mi fiondo allo Shooters Sports Bar di Nagoya.
Entro alle 19:30 spaccate, ed apprezzo il numero di maxischermi che proiettano differenti eventi sportivi: baseball, sumo, motociclismo... ma nessuna partita di calcio (in realtà ho scoperto che in Giappone il calcio non è molto seguito (il loro sport nazionale è il baseball), men che meno quello italiano).
Chiedo al ragazzo all'ingresso (che parla un ottimo inglese) se per caso potevano trasmettere una “...importantissima partita del campionato italiano di calcio, con ben 2 giocatori giapponesi ((Honda nel Milan, Nagatomo nell'Inter)...”
Il tipo fa una faccia schifata, dice che sul satellite non trasmettono la serie A, ma che provava a verificare su internet, lasciandomi così un lumicino di speranza. Inizia ad attaccarsi al web, con me appollaiato alle sue spalle modello avvoltoio; va su un sito ed apre un elenco infinito di eventi sportivi che inizia a scorrere... ad un certo punto appare Internazionale - AC Milan, ma ho l'impressione che il giapponese non se ne accorga.
Eccitatissimo inizio a saltellare ed ad urlare: “Fermo! Stop! L'ho vista! Torna indietro!! Torna indietro!!!”
Il tipo sorride, mi guarda e dice: "yeah, I've got it: take it easy, man..."
Take it easy”, una espressione che mi è sempre piaciuta tantissimo, come se fosse un mantra o una formula magica: ed infatti, come per magia la partita appare su uno dei televisori dietro al bancone. Ringrazio il ragazzo e mi fiondo al bancone, ordino da bere, ed inizio a guardarmi la partita.
Alla fine del primo tempo siamo sotto 2-0. Sono talmente depresso che arrivo addirittura ad ordinare una pizza (in Giappone!!!) che masochisticamente mi mangio pure, trasformando quella che potrebbe essere una penitenza (“se perdiamo il derby, mi mangio una pizza giapponese”) in una scaramantica cena (“magari se mi mangio una pizza giapponese, pareggiamo...).
E il sortilegio funziona!
A tempo abbondantissimamente scaduto agguantiamo il 2-2 con un gollonzo!!
Libidine!!!
Sono al settimo cielo!!!! ...letteralmente al settimo cielo: infatti mi trovo ad essere più in alto di quello che dovrei...
Ops... spinto dall'entusiasmo sono salito in piedi sullo sgabello per esultare, sotto lo sguardo esterrefatto degli altri avventori (tutti giapponesi): pensano che sia stata la seconda birra a darmi alla testa, non il secondo gol... ma come può un nipponico, che definisce sport 2 ciccioni in tanga che si menano, comprendere l'eccitazione di un derby della madunina recuperato in extremis?!?
Take it easy, interista...



Goldrake
Una sera chiacchierando con una coppia di giapponesi intorno ai 40 anni, mi domandando come mai ho scelto il Giappone per questo viaggio.
Gia, come mai?!? La risposta sarebbe contorta: tutto nasce 10 anni fa in Nuova Zelanda quando ho incontrato un ragazzo ceko che stava viaggiando in giro per il mondo in autostop (infatti l'ho conosciuto dandogli un passaggio), e che era stato da poco in Giappone. Ora, non chiedetemi come abbia fatto ad arrivare in autostop dalla terra del sol levante a quella dei kiwi... sta di fatto che era talmente entusiasta di quel Paese, ed in particolare dell'isola più settentrionale (Hokkaido), che mi ha fatto venire voglia di visitarlo anche a me. Voglia che è rimasta in incubazione per ben 2 lustri...
Ma torniamo alla domanda fattami dai 2 tipi: non mi andava di raccontare in inglese la storiella che ho appena descritto, e quindi improvviso una risposta (...ahimè, rimango un consulente inside...) che sono convinto li farà sorridere:
“Perchè da bambino il mio eroe preferito era giapponese...”
Chi era?
“GOLDRAKE...”
Chi?!?
“...Goldrake... dai, il cartone animato degli ufo-robot...”
Boh??? (sguardo interrogativo dei 2...)
“Ah, ma forse qui in patria aveva un nome differente...”
Al che vado su Google e mostro ai 2 alcune immagini del mio eroe... Niente!
“Ma no, dai... l'hanno creato qui in Giappone a metà anni 70, non potere non conoscerlo...”
Sempre da Google tiro giù la sigla originale del cartoon (in giapponese, almeno questo me lo confermano: già temevo che in realtà Ufo-Robot fosse cinese... passi il Milan, ma Goldrake no, eh!!!), ma ancora una volta li vedo scuotere la testa...
Al che, scherzosamente, esplodo:
“MA CHE GENTE SIETE?!? NON CONOSCETE LE VOSTRE ORIGINI? I VOSTRI EROI?? LA VOSTRA CULTURA?!?
VERGOGNATEVI!!!”

Povero Goldrake: nemo propheta in patria...




Shin-Hotaka
Shin-Hotaka è famosa per le terme; e per la funivia, che arriva a 2150 metri di altitudine: da qui (avevo letto) è poi possibile salire ulteriormente con una camminata che ti porta in circa mezz'ora ad un rifugio.
Quindi il programma della giornata è il seguente: salita in funivia; passeggiata fino al rifugio; foto di rito; passeggiata di rientro alla stazione della funivia; discesa a valle; terme.
Tutto bello sulla carta, ma non ho tenuto in considerazione che in questa stagione qui fa ancora freddo, soprattutto a quelle altezze...
All'uscita dalla teleferica vengo accolto da una temperatura prossima allo “0”, da nuvole minacciose e soprattutto da tanta, tanta neve...
Intorno alla stazione hanno addirittura scavato delle trincee, in modo da rendere più agevole la camminata di chi vuole fare un giro breve; ma tutto si riduce a poche centinaia di metri: se si vuole raggiungere il rifugio, la neve non è stata battuta sul sentiero che si inerpica in mezzo al bosco, fortunatamente ben segnalato.
Non ho una attrezzatura adatta, però mi avventuro ugualmente verso il rifugio, confidando nella compattezza del manto nevoso, e nel fatto di non essere un peso massimo. Mezzoretta di camminata, e che sarà mai...
Dopo poco realizzo che la stima di 30 minuti si riferisce al periodo estivo, quando la neve è ormai sciolta. Soprattutto il sentiero è molto ripido, e quindi il mio problema non è tanto affondare nella neve, quanto scivolare (ho delle normali scarpe da trekking, senza ramponi nè bastoncini). Cosa che ogni tanto avviene, ma io testardamente ogni volta mi rialzo e proseguo nella mia via crucis (la “croce” è rappresentata dal fatto che anziché in uno zaino, ho messo la reflex in una borsa a tracolla, cosa che complica ulteriormente la situazione quando perdo l'equilibrio). Ma mentre proseguo l'ascesa, mi domando come sarà il ritorno, con questa discesa ripida e scarpe poco adatte...
Intanto comincia a nevicare: Fantozzi è un dilettante al mio confronto...
Finalmente arrivo alla capanna: non faccio neanche una foto, tanto è tutto bianco causa nuvole e nevischio.
Torno indietro, e appena la pendenza si fa un po' impegnativa, scivolo...
Mi rialzo, faccio tre passi e scivolo di nuovo; ancora in piedi, e poco dopo ancora col culo per terra...
Al momento è uno dei giorni più brutti della mia vita...
...già, ma chi me lo fa fare di camminare anche in discesa?!?
Il colpo di genio: tiro fuori dalla borsa l'asciugamano che in teoria mi sarebbe dovuto servire per le terme, me lo metto sotto il sedere e via! Eccomi a cavallo di una slitta di cotone, slalomeggiando a folle (…) velocità tra gli alberi.
In questo momento sono un bambino (di 47 anni) felice: mi sento come Ghedina quando ha fatto la spaccata sulla Streif, come Valentino Rossi quando affronta il cavatappi a Laguna Seca, come AlaDrino sul tappeto volante...
Ma che bello è quando c'è TANTA neve?!? Bello vero... 😊


Navigatore GPS
La sapete quella dell'italiano, del tedesco e dell'inglese?
Si?
E quella dell'italiano e del navigatore GPS giapponese?
No?!? Allora ve la racconto...

Un italiano in Giappone noleggia l'auto per 2 settimane per esplorare al meglio l'isola di Hokkaido. L'auto è dotata di navigatore satellitare con, vivaddio, comandi e voce in inglese.
Ora, non aspettatevi TomTom, Garmin, Google Map o cose del genere.
È un navigatore GIAPPONESE: quando imposta un percorso, è QUELLO! Non sono previste deviazioni, modifiche o ripensamenti.
Figuriamoci se a guidare è un italiano che, quando sale in macchina tendenzialmente non sa di preciso dove andare; quando ha una meta in testa, è probabile che alla fine non la raggiunga perchè ha cambiato idea n-volte; e comunque quando è alla guida, è il re dell'improvvisazione, perchè di colpo rapito da quello che potrebbe essere un ottimo soggetto da fotografare.
Il povero GPS nipponico è messo a dura prova, soprattutto perchè, ad esempio, non concepisce l'inversione a U: secondo lui, è possibile invertire la direzione di marcia solo quando davanti sono presenti 4 strade che formano un quadrilatero, e di conseguenza 4 curve consecutive da fare (3 in una direzione, e l'ultima in quella opposta). Fossero anche fra 55 km... Manco l'optimizer di APO (i sappisti capiranno...).
Insomma: un rapporto difficile fra i 2, che spesso arriva a brutali insulti in italiano da parte del guidatore; la situazione a volte è degenerata, con il “Nissan” (chiamiamolo così...) che un paio di volte è passato al giapponese (giuro...), e l'italiano che prontamente ha risposto con la lingua da lui conosciuta più simile a quella nipponica: il dialetto pugliese...
(Apro una parentesi: in metrò a Tokyo ho chiuso gli occhi mentre ascoltavo un gruppo di persone che parlava animatamente fra di loro: mi sembrava di ascoltare un film di Lino Banfi...)
Quindi, quando il Nissan passava al giapponese, l'altro replicava come Cassano incazzato con l'arbitro perchè è stato appena espulso...

Povero navigatore: sono sicuro che appena riconsegno l'auto, farà harakiri

martedì 11 aprile 2017

Appunti di Giappone

Ramen
Alla partenza per il Giappone avevo deciso che, anziché a Tokyo, avrei trascorso i primi 2 giorni in un posto più tranquillo (Kawaguchiko, alle pendici del monte Fuji), in modo da smaltire il fuso orario in un luogo meno frenetico.
Quindi arrivato in aeroporto mi reco ad una delle numerosissime stazioni della capitale nipponica, e prendo un autobus che prolunga ulteriormente la mia trasferta di un paio di ore.
Giuntoto in ostello, il tempo di una meritatissima doccia ed è già ora di cena; parte la domanda di rito verso il tipo della reception: “dove mi consigli di andare a mangiare”?
Risposta (molto apprezzata): in un posto tipico: un Ramen!
Mi fornisce di una piantina per arrivarci, e, dato che in questo locale non parlano inglese e il menù è solo in giapponese e senza foto, addirittura di un biglietto con scritto in giapponese quello che abbiamo stabilito dovrei ordinare (un paio di piatti).
Seguo fedelmente le indicazioni della mappa ed arrivo in una posto con un ingresso a vetrate trasparenti abbastanza anonimo, dove però da lontano noto un certo via-vai di gente che sale e scenda dal primo piano.
Quando giungo davanti all'ingresso non c'è nessuno; entro fiducioso, tolgo le scarpe (tipica tradizione orientale) e metto un paio di pantofole che prendo tra le decine sparse ai piedi delle scale. Salgo e seguo delle voci che mi portano in fondo al corridoio: apro la porta e... mi trovo di fronte ad una classica famiglia a tavola davanti alla TV, in quella che palesemente è la loro abitazione, e non un ristorante...
Quattro teste (ed 8 relativi occhi) distolgono la loro attenzione dalla televisione e dal piatto e la rivolgono verso il sottoscritto...
...“Ehm... Ramen?!?”
Mi fanno segno di no (nessuno di loro parla una parola di inglese) e con estrema pazienza a gesti mi spiegano come raggiungere il posto, incuranti del fatto che un estraneo (per di più straniero) si sia introdotto in casa loro, abbia preso un paio di loro ciabatte (anzi, forse hanno apprezzato il gesto...) e si stia aggirando per le loro stanze. Fosse successo in una villetta in Brianza, a quest'ora sarei sui giornali con un foro di proiettile nella schiena...
Chiedo umilmente scusa, ringrazio per le preziose indicazioni, e mi reco sulla retta(?) via.
Effettivamente dopo pochi minuti arrivo in un locale che riporta l'insegna “Ramen”. E vai...
Entro, faccio segno che sono da solo, mi indicano dove sedermi, e quando arriva la cameriera per l'ordinazione, tiro fuori trionfalmente il mio biglietto scritto in giapponese. La tipa lo guarda, a sua volta tira fuori un menù in inglese con tanto di foto, e mi fa capire che una delle 2 cose scritte sul mio pizzino non è nel menù. Scelgo una alternativa indicando una immagine che mi ispira, e mi domando come mai il tipo dell'ostello non fosse aggiornato sul fatto che:
  1. uno dei piatti da lui consigliati non è presente
  2. anche se non parlano inglese, qui hanno il menù con foto e didascalie in un alfabeto a me familiare
...poi capisco: quello NON è il Ramen, consigliatomi, ma un altro locale, decisamente più “turistico”.
Vebbè, sono stato capace di sbagliare ristorante in Italia, figuriamoci se non può capitare nel paese del sol levante! Fortunatamente, rispetto al precedente italiano, il conto non è stato altrettanto salato...


Tokyo1
In Giapponese guidano a sinistra. La cosa non è una novità per me: ho già viaggiato in paesi con questo “difetto”: Irlanda, Nuova Zelanda, Sudafrica...
Per la prima volta, però, mi trovo a camminare per un città estremamente popolosa e frenetica (Tokyo), dove anche i pedoni “tengono la sinistra” (sui marciapiedi, nei musei, sulle scale mobili, etc...), e, vista la muraglia di gente che si sposta a piedi, non è un particolare secondario...
In pratica mi sono trovato spesso a camminare contromano, (con la netta sensazione di venire preso di mira da piccoli kamikaze con gli occhi a mandorla, abilissimi nello scansarsi a vicenda, ma che facevano di tutto per venirmi addosso) prima di prendere l'abitudine di cambiare lato.
Tendenza che mi è venuta naturale quando ormai avevo abbandonando la capitale, ma che ho scoperto non essere così rigida in altri luoghi giapponesi. In pratica, ogni volta che cammino in un psto abbastanza popoloso, gli attacchi dei kamikaze continuano...
La storia della mia vita: l''uomo sbagliato, nel posto sbagliato, al momento sbagliato...


Ito
Ito è una cittadina che si trova sulla costa della penisola Izu, una zona ideale per una bella pedalata. Approfittando di una delle rare giornate di sole, decido di usare la bici: vado all'ufficio del turismo, chiedo dove posso noleggiane una, e mi indicano un negozio a due passi da lì, dicendomi che apre alle 9 (in questo momento sono le 9:02, quindi è sicuramente aperto, vista la puntualità maniacale dei nipponici). Mi reco lì davanti, e l'insegna (in italiano) promette bene: “Goloso”; a giudicare dai cartelloni, oltre ad affittare bici è anche una gelateria.
Peccato solo che sia chiuso.
Aspetto qualche minuto, e torno all'ufficio del turismo (è lì di fianco) chiedendo se per caso fosse il giorno di chiusura. La ragazza è imbarazzata, mi dice che il posto è sicuramente aperto, e (in maniera molto cauta) mi chiede se ho verificato bene che fosse effettivamente chiuso. Alla mia risposta affermativa, decide di accompagnarmi per controllare di persona. Cosa che avviene: la ragazza è sconvolta, torna in ufficio (io che divertito le trotterello dietro) e si attacca al telefono. Dopo qualche minuto si prostra in mille scuse, dicendomi che il negozio DOVEVA essere aperto, ed è inspiegabile che nemmeno telefonicamente riesca a contattare qualcuno. La tipa è costernata, non riesce a capacitarsi di una tale inefficienza.
Io la guardo sorridendo e flemmatico le dico: “sarà per questo che hanno un nome italiano...”


Tokyo2
Piove e fa freddo; è tutto il pomeriggio che cammino per Tokyo: sono bagnato fradicio, ho fame e voglio qualcosa di caldo!
Ad un certo punto, in una viettina pittoresca piena di bancarelle e negozietti nella zona di Ueno, vedo un assembramento di persone che fanno la fila per comprare delle bottigliette che emergono da un pentolone. Intuisco che si tratta di bottigliette di sakè caldo: figata !
Faccio la coda, compro la mia dose (300ml) ed il pusher mi fornisce anche di uno sgabellino sotto la tettoia dove posso comodamente assaporare questo nettare bollente: buono, caldo e... decisamente forte! Finita la dose, mi rialzo barcollante dallo sgabello: sono mezzo ubriaco!!! Devo assolutamente mangiare qualcosa.
Qualche bancherella più avanti, una vecchietta vende patate dolci (intere) alla griglia: figata2 !!
Avete mai mangiato una patata dolce alla griglia? È una delle cose più buone del mondo!!!
Malgrado sia ustionante, la divoro con immensa soddisfazione; e recuperata un po' di lucidità, decido che la mia dipendenza dal sakè è già finita, mentre quella dalla patata (soprattutto se bella calda e dolce) decisamente continua... 😉

giovedì 18 agosto 2016

Italia in bici 2016


Dal 5 giugno al 15 luglio 2016, attraversando Piemonte, Liguria, Corsica, Sardegna, Campania, Basilicata, Puglia, Molise, Abruzzo, Marche, Umbria, Romagna, Veneto, Lombardia

in totale 40 giorni, 3500 km, 12 regioni visitate (più la Corsica)


legenda:
BICI
TRAGHETTO


Foto




martedì 21 giugno 2016

Basta un po' di organizzazione...

13 giugno 2016, ore 21: esordio dell'Italia agli Europei di calcio.
Mi sono fissato l'appuntamento (così come le date e gli orari delle altre partite degli azzurri) già prima di partire per il lungo giro in bici che nel giro di una quarantina di giorni mi porterà a zonzo per l'Italia.
Organizzazione, innanzitutto!
Non sia mai che mi perda una partita di calcio importante solo perché sto pedalando.
La mattina sono a Stintino; conto di fermarmi per la sera ad Alghero, che dista circa 70 km.
Ho fatto una abbondante colazione al B&B, quindi sono carico di energia, e per pranzo penso di accontentarmi di un po' di roba che mi è avanzata dalla Corsica (taralli, biscotti, ciliegie) e poi di darci dentro la sera guardando la partita (organizzazione!).
Parto con calma dopo una sosta ad una lavanderia self-service, e verso le 11 sono in sella.
Dopo una cinquantina di km arrivo ad un bivio: Capo Caccia 8 km a destra, Alghero 18 km a sinistra. Ecchediamine, è ancora presto: andiamo a vedere 'sto Capo...

Porto Conte
Arrivo così nel golfo di Porto Conte, ed in particolare in una insenatura con acqua cristallina, piccola spiaggia e bar. Non ho ancora fatto un bagno da quando sono partito, la tentazione è troppo forte: carpe diem, e Drino in acqua!
L'acqua è freddina, ma dopo un po' ci si abitua, e la location è paradisiaca (vedere foto).




Esco, mi asciugo con calma, mangio un gelato al bar (avevo già fatto fuori in precedenza le mie “abbondanti” vettovaglie), e rimango ad ascoltare un dialogo fra un gruppo di signori di Bercellona ed il barista. Dialogo che si svolge in catalano. Incuriosito domando al ragazzo se avesse vissuto a Barcellona per imparare così bene la lingua, e lui mi risponde che non era mai stato in Spagna, e che stava parlando nel dialetto di Alghero! Un lascito della dominazione di qualche secolo fa: il dialetto locale è il catalano...

Con tutta calma riparto per Alghero. L'influenza spagnola è evidente nei nomi delle vie e dei quartieri di questa bella cittadina, che perlustro in bici, ma che alla fine decido di lasciare puntando ad una sistemazione lungo la strada costriera. In fondo è ancora relativamente presto (sono le 18:30), la giornata è splendida, la temperatura è ideale, e pedalare ancora per qualche km a ridosso del mare mi sembra un'ottima idea...

Appena imbocco la strada litoranea vedo un cartello stradale: Bosa 44 km. Il prossimo paese non è vicino, ma non ho intenzione di arrivare fino a lì: inizio ad essere un po' stanco e ad avere un po' di fame (il pranzo è stato molto leggero) e già pregusto un agriturismo al massimo fra una decina di km, oppure un B&B con annesso ristorante o, perché no, un campeggio dotato di pizzeria a due passi dal mare. Insomma, giusto il tempo di arrivare, farmi una meritata doccia e farmi una sontuosa mangiata guardandomi Italia-Belgio.
Nel frattempo la strada è bellissima, ma decisamente dura. Alternando strappi impegnativi a ripide discese, il percorso tende gradatamente a salire di quota. La vista è incantevole: mi ricorda la parte più selvaggia della Corsica, paragone avallato ulteriormente dal fatto che non c'è nessuna abitazione nei paraggi.
Ed intanto il tempo passa, e la fame aumenta, e le energie – di conseguenza – diminuiscono.
Arrivano le 7, poi le 7:30, poi le 8. Strada deserta, nessun edificio.
Le ombre si allungano sull'asfalto, proiettando un'immagine gigantesca delle borse che sto trasportando, quasi a simboleggiare il loro peso sempre più insostenibile.
Ho fame, e voglio vedere la partita... cazzo! Mi bastava rimane ad Alghero... quasi quasi torno indietro... ma no, dai, ci sarà almeno un ristorante sulla strada prima o poi, con tanto di megaschermo. Inizio a pensare alle possibili situazioni: dormire è l'ultimo dei problemi, posso piantare la tenda da qualche parte (si, ma dove? ai lati della strada ci sono solo rocce, e per di più a precipizio), oppure infilarmi nel sacco a pelo in una delle piazzole di sosta che ogni tanto si allargano nei punti più panoramici (nella speranza che una coppietta in cerca di intimità non mi schiacci con la loro auto...). La priorità è mangiare, perché se non incamero un po' di energie qui non vado più avanti.
Quindi continuo a visualizzare il ristorante dei miei sogni, immaginandomi anche come mi comporterei una volta entrato: prendo un tavolo davanti alla tv, ordino, poi vado in bagno a darmi una rinfrescata alla bell'e meglio, e quando esco (fresco e riposato...) la tavola è già imbandita e gli inni nazionali risuonano nell'aria...
In sostanza pedalando faccio girare contemporaneamente le 2 ruote e gli ultimi 2 neuroni che mi sono rimasti: in pratica sono un 4WD...
Sono in preda a questo delirio onirico quando la strada inizia finalmente a scendere: la velocità sale notevolmente, ed i km che mancano a Bose diventano sempre di meno. Verso le 21 dovrei arrivare lì, giusto in tempo per la partita.

Alla 20:40 l'apparizione: Area Sosta Camper con Ristorante/Pizzeria in posizione molto panoramica, a picco sul mare. Mi fiondo nel locale:
“siete aperti?”
Si
“fate vedere la partita?”
Si
“non ho un camper, ma una bici con la tenda: posso piantarla da qualche parte?”
Dove preferisci
“Ti voglio bene, fratello sardo...”

In 20 minuti monto la tenda (vedere foto), faccio la doccia in una spartana cabina lì all'aperto e al fischio d'inizio sono con le gambe sotto il tavolo.
A volte i sogni (o i miraggi) si avverano. Quasi completamente: il megaschermo era in realtà un vecchio (tubo catodico) Telefunken da 14”. Se non altro era a colori...  : )

PS: per la successiva partita dell'Italia (venerdì 17 contro la Svezia) che era programmata per le 15, alle 14 ero già davanti ad un megaschermo (vero, questa volta) con tanto di birra in mano.
Basta un po' di organizzazione...

martedì 23 febbraio 2016

Siam - appunti di viaggio




Un minibus stracarico che zigzaga fra le buche di una strada che, malgrado sia in uno stato pietoso, rappresenta l’unica via di collegamento; quindi densa di ogni tipo di mezzo di trasporto: auto, motorini, bici, camion, bus, mezzi agricoli, oltre che pedoni e animali.

La strada attraversa una miriade di piccoli villaggi, costellati da tantissimi bambini che giocano felici e spensierati, come è giusto che sia.

Dove mi trovo?

In questo  momento in Laos, ma potrei benissimo essere in Bolivia o in Lesotho…

È affascinante questa somiglianza di posti così lontani, dato che  non è dovuta alla globalizzazione ma alla povertà: c’è una importante via di collegamento ed è “naturale” che la maggior parte delle attività, in mancanza di alternative, ruoti intorno ad essa. 


Ci sono tornato volentieri in Laos, a distanza di 4 anni: ho ammirato paesaggi e pagode, gente sorridente. Ma ho anche constatato come qualcosa sia cambiato rispetto al recente passato. Più modernità, innanzitutto: internet ovunque, tutte le persone del luogo “armate” di smartphone; anche se qualcuno, per ragioni meramente economiche, è ancora costretto ad indossare l’abito tradizionale e a recitare la parte del tribale per accontentare i tour operator che scorrazzano mandrie di turisti desiderosi di vedere con i propri occhi qualcosa di anacronistico (e completamente falso, aggiungo io). 

Nel Nord del paese la vicina Cina è sempre più presente: andando a Luang Nam Tha mi sono trovato  una città moderna con edifici di nuovissima costruzione là dove la mia Lonely Planet (del 2007) parlava di villaggio…


Nel raggiungere questo ex villaggio mi è capitato un piccolo incidente.

Gli “incidenti” fanno parte dei viaggi: senza intoppi viene a mancare quel brivido di imprevisto che, a posteriori e una volta che le cose si sono aggiustate, possono trasformare una parte del viaggio in una avventura (l’importante è che ci sia il lieto fine…). A volte, purtroppo, gli incedenti possono essere anche stradali (ok, può succedere anche in tangenziale a Milano andando in ufficio, ma in questo caso perde un po’ di poesia…Emoji ) come mi è successo andando a Luang Nam Tha.

Minibus con conducente dalla guida un po’ allegra, strada di montagna, l’autista prende una curva interna un po’ troppo larga, dall’altra parte arriva un auto che invece stringe un po’ troppo e… SBAM! Fortunatamente non un frontale ma un urto laterale. Nessun danno alle persone, i veicoli hanno un po’ di ammacchi ma possono proseguire, ma il problema è che l’altra auto è guidata da cinesi che non parlano laotiano (unica lingua conosciuta dal nostro autista). I cinesi parlano in (ottimo) inglese con noi (turisti a bordo del pulmino) dicendo che a loro giudizio è un concorso di colpa e se ognuno si paga i suoi danni va bene così. L’autista, col quale anche noi comunichiamo a gesti, però molto probabilmente rischia di perdere il posto se accetta questo compromesso, e quindi chiama qualcuno al telefono e ci fa segno di aspettare. Io approfitto di questa attesa per andare a parlare con i cinesi, incuriosito di conoscerne qualcuno al di fuori dell’Italia. In questo caso si tratta di gente sui 30 anni, con vestiti firmati ed auto di lusso, che vive in Cina, che è in vacanza in Laos, e che deve l’ottima conoscenza dell’inglese al fatto che hanno studiato negli USA, dove hanno acquisito una “american attitude” (definizione – azzeccata - di una americana che viaggiava con me) e che sono tornati in patria per fare i dirigenti.

Insomma, niente a che fare con quelli “milanesi” di esportazione, che partendo da via Paolo Sarpi stanno pian piano comprando tutta la città, forse favoriti dal fatto che non muoiono mai…

Questi rappresentano la nuova generazione, quella che ha sostituito la falce ed il martello con lo smartphone e la carta di credito. Gli unici al mondo che hanno le potenzialità per di far crollare questa grande potenza… Emoji

Tornando all’incidente, in soccorso del nostro autista arrivava una ragazza della assicurazione, ma neanche lei parla inglese, e quindi la situazione non si sblocca, fino a che non si ferma un tizio thailandese che parla sia laotiano che cinese, e facendo da interprete riesce a far raggiungere un accordo alle parti. Mitico, probabilmente al suo paese fa il giudice a Forum…

Insomma, da incidente stradale rischiava di trasformarsi in incedente diplomatico fra Cina e Laos, ma l’intervento della Thailandia ha risolto la situazione…



Anche in Vietnam ho avuto un piccolo inconveniente, a Da Lat.

Noleggio la bici per andare a vedere la cascata dell’Elefante, una escursione tranquillamente fattibile in giornata. Dopo un po’ di km di piacevole strada in mezzo al bosco, mi si affloscia il davanti (nel senso di gomma della bicicletta…Emoji ): ho bucato! Ovviamente non ho una camera d’aria di scorta od un kit di riparazione, e la zona è disabitata. Non mi resta altro che incamminarmi (spingendo la bici) e tornare a Da Lat, sperando di trovare un passaggio. Cosa che dopo una mezzoretta avviene: un vietnamita si ferma e mi fa caricare la bici sul suo camioncino. Il tipo non parla una parola di inglese, però qualche km prima del centro del paese si ferma e mi indica un meccanico. Io, che pensavo di riportare la bici dal noleggiatore e prenderne un’altra (con il rischio che questo non ne abbia più, o che faccia storie), valuto che se invece faccio aggiustare la gomma adesso impiego meno tempo, e posso continuare il mio giro. Andata!

Il posto è una officina di riparazione di motorini, ma il tizio si dimostra ferrato su come aggiustare la camera d’aria di una bicicletta (sempre ruote sono…) anche se non sta mungendo una mucca (auto-citazione della riparazione alla foratura di un paio di anni fa in Costarica)

In realtà il buco si rivela essere una precedente riparazione che non tiene più (la camera d’aria risulta essere decisamente “vissuta”), ed il meccanico la aggiusta sovrapponendo una nuova pezza a quella già esistente. Non proprio il massimo della vita, ma non ho alternative (se torno fino al negozio, mi sono giocato mezza giornata, e addio cascate); ma sono consapevole di essere in sella ad una “bomba ad orologeria”. Confido che il rimedio regga per un po’ di km, prima di cedere nuovamente; o che addirittura non ceda proprio. Pago il tizio, che mi chiede 10000 Dong, circa 40 centesimi di Euro… io faccio il brillante e gliene lascio altrettanti di mancia…

Ovviamente il rimedio cede. Che ci volete fare: errare è umano, perseverare è… Drino.
Però nel frattempo sono riuscito ad arrivare alla cascata e a fare un  po' di foto, oltre che un po' di km in bici. quindi l'obiettivo della giornata è raggiunto, alnche se a distanza di qualche ora mi ritrovo nuovamente sul ciglio della strada con la gomma a terra.
Questa volta mi raccatta l'autobus locale, un veicolo da una ventina di posti: mi fanno tranquillamente mettere la bici sul corridoio e mi riportano a Da Lat. Io, unico occidentale a bordo, mi sonto addosso gli occhi di tutti: da turista mi ritrovo ad essere una attrazione turistica...


martedì 18 marzo 2014

Bici, che passione!!!


Premessa: viaggiare è la mia passione, così come andare in bici.
Viaggiare in bici è ovviamente il massimo: è possibile coprire distanze notevoli andando alla giusta velocità per vedere tutto ciò che ci circonda, avendo la flessibilità di arrivare ovunque e di fermarsi in qualunque momento, senza vincoli di aree pedonali o problemi di parcheggio.
In ogni continente mi sono imbattuto in pazzi che pedalavano da (o dovevano pedalare per) 5 o 6 mesi: in Australia (da Sydney a Perth), in Indocina (partendo dall'Europa), in Africa (da Nairobi a Cape Town) e, in questa occasione, in Centro America (partendo dagli USA e andando in Cile).
Io, nel mio piccolo, mi sono cimentato nel 2012 in un personale “giro d'Italia” di un mesetto. Non mi sento ancora pronto (e probabilmente non lo sarò mai) per qualcosa di più lungo ed avventuroso; più che dal un punto di vista fisico, da quello mentale.

Però, ogni volta che sono in viaggio, non perdo occasione per noleggiare la bici almeno per un giorno.
In Centro America l'ho fatto 3 volte: Puerto Vallarta (Messico), Omepete (Nicaragua), La Fortuna (Costa Rica).
E per 3 volte ho avuto problemi... Oddio, è abbastanza normale: le bici a noleggio nei posti dove viaggio spesso (quasi sempre...) non sono un gran chè. Però 3 su 3 è una percentuale inquietante...

Puerto Vallarta, come si può intuire dal nome, è sul mare; però è in una zona collinare, ed io ero diretto in cima ad un colle lungo una bella strada sterrata che risale un torrente, quando il sellino ha ceduto. Tranquilli, benchè Puerto Vallarta (l'ho scoperto in seguito...) sia un ritrovo internazionale di gay, non ho perso il sellino: semplicemente si è rotto il fermo che blocca l'altezza dello stesso, per cui mi sono ritrovato a pedalare con la sella bassissima e le ginocchia in bocca; scomodissimo e faticosissimo. Non sono riuscito ad arrivare in cima. Niente di grave: ho girato la bici e mi sono goduto la discesa col baricentro basso, con pausa per un bagnetto rinfrescante nel torrente con tanto di birretta fresca offertami da due tipi del luogo.

Omepete è un isolotto sul lago Nicaragua: mi ripromettevo di farne il giro completo, che in realtà è un “8”, dato che Omepete sono due vulcani collegati da un itsmo; parto proprio da qui ed inizio a girare intorno al vulcano più piccolo, che però è anche la parte più difficile, dato che è completamente sterrata e molto nervosa, cioè piena di sali-scendi.
Il giretto procede bene, malgrado la bici sia un mezzo catorcio; l'ambiente è bucolico, sembra di pedalare in una gigantesca fattoria, con mucche cavalli oche galline cani maiali asini che continuamente sono in mezzo alla strada.
Per superare uno strappo impegnativo mi alzo sui pedali e...TLAK! si rompe la catena... Mi tocca spingere la bici per circa 10 km fino all'ostello.
Non mi risulta che Omepete sia un ritrovo gay, ma anche qui l'ho preso in quel posto...

La Fortuna è un paesino ai piedi del vulcano Arenal. La zona è bellissima: ondulata, verde, con un lago nelle vicinanze... un paradiso per la bici.
Considerando che la giornata è splendida e che il giorno prima il Milan ha perso 4-1 contro l'Atletico Madrid (e quindi ho bisogno di sfogarmi) sono carico al punto giusto.
La bici (una volta tanto) è molto buona, la catena è ben oliata e non minaccia rotture, e quando chiedo il kit di riparazione in caso di forature, il tipo del negozio mi risponde: “tranquillo, non serve: noleggio bici da 10 anni e nessuno ha mai bucato”.
Sarà...
Dopo circa 30 km arrivo al lago e mi fermo a fare una foto col vulcano sullo sfondo: il panorama è meraviglioso; non c'è nessuno in giro, sembra quasi che quel lago e quel vulcano siano stati creati esclusivamente per me. Mi godo il momento: mi sento l'uomo più fortunato del mondo.
La Natura, ancora una volta, mi fa dono della sua maestosità: gli occhi sono appagati da questa vista incredibile, la pelle è piacevolmente riscaldata dal sole, le orecchie sono deliziate dal canto degli uccelli e dal sibilo di questo vento che mi accarezza i capelli... sibilo?!? Vento un cazzo: ho bucato!!! (citazione)
Sembra quasi, da quanto bestemmio, che il vulcano abbia ripreso la sua attività sismica... Inizio a spingere la bici (sembra diventato il mio passatempo preferito in Centro America); quando vedo una casa chiedo se hanno l'occorrente per aggiustare la gomma, e mi dirottano 500m più avanti dove abita un meccanico, tale Josè.
Arrivo in una sorta di piccola fattoria, chiedo di Josè e lo trovo in una stalla intento a mungere una mucca... Mi domando se un contadino che munge una mucca sappia aggiustare una foratura; probabilmente sì. Poi mi domando se il mio ciclista di Tradate sappia mungere una mucca...
Vabbè...
Spiego a Josè la situazione, e mi invita e seguirlo nella sua officina, che è un magazzino di robivecchi. Io, con lo sguardo, cerco disperatamente in mezzo a quel marasma una pompa, mentre lui rovista in una cassetta degli attrezzi che sicuramente contiene qualcosa appartenuto ai Conquistadores spagnoli... Con mia grande sorpresa tira fuori un adattatore per la valvola del pneumatico e lo usa per collegare lo stesso ad un compressore, che a prima vista a me sembrava un residuato bellico. Inizio a riprendere fiducia, anche perché piano piano appaiono mastice e pezze. Quando gli dico che sono italiano, mi racconta che lì vicino vive da una decina di anni un connazionale che definisce loco (pazzo).
Per farla breve, la gomma viene riparata, e posso riprendere il mio giro. Juan mi chiede dove sono diretto, e quando glielo dico, mi fa: “Ma da solo? Tutti questi km senza neanche una camera d'aria di scorta?” Poi scuote la testa, sorride e dice: “otro italiano loco...
Dagli torto...

PS: BICI è l'anagramma di CIBI, altra mia grande passione. Non può essere una coincidenza