domenica 22 febbraio 2009

Patagonia, vita da Frontiera…

El Calafate e Bariloche rappresentano le estremità meridionale e settentrionale della regione, dando accesso a meraviglie come lo spettacolare ghiacciaio Perito Moreno o montagne come il Fitz Roy la prima, e incantevoli scenari alpini costellati da boschi e laghi la seconda. Ma più che sulla bellezza della Natura del posto, per la quale cedo la “parola” alle immagini (foto Patagonia), vorrei soffermarmi sulla collocazione geografica delle due città, ovvero a ridosso del confine con il Cile.
Attraversare questa frontiera spesso richiede almeno un’ora per balzelli burocratici e controllo dei bagagli, che si rivelano più snelli dal Cile all’Argentina, e più complicati in senso inverso. Infatti in questa direzione, per ragioni sanitarie, non è consentito importare frutta o carne, ed a causa  di questa disposizione il controllo diventa lentissimo. Controllo che comunque varia da un posto di frontiera all’altro, con risultati spesso grotteschi.

La prima volta che siamo entrati in Cile abbiamo dovuto scaricare personalmente dal bus tutti i nostri bagagli e portarli in una piccola stanza (in grado di contenere 25 persone, quando noi eravamo il doppio e carichi di borsoni) dove regnava l’anarchia. Qui, senza alcuna indicazione, sgomitando in mezzo a turisti e persone del posto che a loro volta non sapevano assolutamente cosa fare, abbiamo dovuto prima farci timbrare il passaporto, poi portare gli zaini verso un macchinario a raggi x tipo controllo bagagli dell’aeroporto, e successivamente riportare il bagaglio sul bus. Per poi alla fine realizzare che anche senza tutto quello sbattimento (tira giù lo zaino dal bus, portalo nella stanzetta, portalo al macchinario raggi x, riportalo sul bus muovendoti in un ambiente tipo Metrò di Milano nell’ora di punta), non sarebbe cambiato nulla, dato che in realtà nessuno ha poi verificato che tutti i bagagli siano stati sottoposti a verifica. Però intanto così passa il tempo. Anche questo è SudAmerica…

La seconda volta che siamo entrati in Cile, mi aspettavo la stessa situazione… invece il conducente del bus ci ha radunato in uno stanzone, ha fatto l’appello, ci ha messo in fila in ordine alfabetico (momento meraviglioso: l’autista, ispirato da non si sa quale autorità, si travestiva da maestro della elementari: urlava un nome, e la persona che rispondeva veniva presa di peso, messa in una determinata posizione della fila e guai se si spostava…). Si è formato così un serpentone di gente di varie età, nazionalità, professione, ma assolutamente in ordine alfabetico. Una volta creata la fila, si è proceduto al timbro sul passaporto, mentre all’esterno un energumeno provvedeva a scaricare i bagagli, a farli passare dai raggi x, e a caricarli nuovamente sul bus (per poi passare fra i sedili ad elemosinare la mancia…).
Tempo totale dell’operazione? Ovviamente identico (ossia infinito…) a quello della prima dogana dove regnava l’anarchia. Anche questo è SudAmerica…

Burocrazia di frontiera a parte, questi viaggi in bus sono sempre divertenti: primo, perché spesso attraversi dei paesaggi bellissimi; secondo perché è il momento in cui hai più tempo per leggere, ascoltare musica, iniziare a pensare a mettere giù queste righe, eventualmente (raramente) pianificare la prossima tappa; terzo, perché è una delle occasioni (l’altra sono gli ostelli) per conoscere altri viaggiatori. Dato che al momento non sto viaggiando da solo, sono meno propenso del solito ad attaccare bottone con gli altri (di solito, girando da solo, parlare con qualcuno diventa una necessità); però anche in questa occasione ho potuto frequentare altri routard, entrando in contatto con il magico mondo dei viaggiatori zaino in spalla. Gente di tutto il mondo (Australia, Francia, Irlanda, USA, Argentina, Olanda, Cile, Inghilterra… ) di tutte le età (anche se, ahimè, tendenzialmente più giovani del sottoscritto) e con le più svariate tipologie di destinazione e durata (da un posto fisso per le vacanze estiva – periodo che si sta concludendo proprio ora in SudAmerica – ad una delle “n” tappe di un giro del mondo che durerà 8 mesi).
Uno dei personaggi più interessanti è stato senza dubbio sull’autobus che da Villa La Angostura ci ha portato ad Osorno, e prontamente ribattezzato “Kill Bill” da Andrea: sudamericano, età di difficile interpretazione (secondo me 50 abbondanti portati molto bene), capelli lunghi canuti raccolti in una coda di cavallo, pantalone rosso e gilet verde… la somiglianza con il protagonista del film di Tarantino era notevole, ma a differenza del personaggio cinematografico, il nostro eroe non era armato di spada, bensì di chitarra.
Strumento che ha tirato fuori una volta passata la frontiera, e con il quale, accompagnandosi anche con una armonica a bocca, ci ha allietato per un’oretta durante il viaggio, cantando e suonando classici (ad esempio Beatles) e canzoni locali a noi sconosciute, ma assai gradite. Dopo aver ricevuto gli applausi ed i complimenti convinti di tutti i passeggeri, il Nostro (che prendendo spunto da Andrea io ribattezzo “Play Bill”) ha ringraziato, ha messo via gli strumenti ed è tornato nell’anonimato di prima.
Chi lo sa se è un’artista giramondo che vive suonando per le strade, libero come un albatros che con un colpo d’ali prende la corrente giusta… oppure è un impiegato di banca che sta finendo le ferie… non gliel'ho chiesto, e tutto sommato non è importante saperlo.
In ogni caso, caro “Play Bill”, mi hai fatto passare dei bei momenti, e di questo ti ringrazio...